La storia

 In Uncategorized

La battaglia di Lepanto, 7 ottobre 1571, se fiaccò la potenza dell’Impero Turco, non arrestò gli assalti e saccheggi di quei corsari nelle Terre e nelle campagne pugliesi. Per la sua vicinanza al mare, Fasano frequentemente soggiacque a cosiffatte incursioni e le memorie vive si conservano oggi nella mente del popolo.
“Salva, salva, chè vengono i Turchi” una frase che era il grido di allarme e di fuga tra i nostri contadini, quando si accorgevano di averli addosso. Le case di campagna, le masserie avevano, come piccoli castelli, ponti levatoi, saracinesche, balestriere, campane; ma l’astuzia dei Turchi, proverbiale anche allora, giungeva ad eludere quei mezzi di difesa. L’avvenimento storico più memorabile, tramandatoci dai nostri vecchi, è l’assalto dei Turchi in Fasano nel 1678. I particolari di esso, registrati nella epigrafe sul muro della casa dei Bianco, sono pregevolissimi, perché, al riguardo, unici e soli.

“Chiunque tu sia cittadino, viandante, straniero, ferma il passo! Guarda il mirabile e marziale evento, che, se con freddo pennello tu vedi ora dipinto, considera che fu da caldo sangue di Turchi bagnato. Quattrocento Musulmani, collegatisi in un intento, salpando da S. Maura e Lepanto in cinque barcacce da pirati, inaspettatamente approdarono in questi nostri lidi, vicino ai Fiumi, il giorno due del sesto mese, anno 1678. Cento di essi restarono a guardia delle barche, gli altri trecento discesero alla spiaggia, e tra il silenzio della notte, al chiarore della luna, penetrarono in Fasano, ove il nuovo borgo era sfornito di muraglia, ed invasero il borgo non solo, e la piazza maggiore, ma pure la vecchia Terra. Dall’infrangersi delle porte, dagli ululi di quegli Africani, dal fragore delle armi, i cittadini, scossi dal sonno, e rianimatisi alla difesa, si battettero dai tetti delle case, dalle finestre, altri con gli schioppi ed altri con pietre. Fingendo i Turchi di fuggire, i cittadini li inseguirono nella sottoposta vallata, ove per un’intera ora, a corpo a corpo, incerti dell’esito, lottarono, finché caduti ventuno di quegl’infedeli morti per terra, e feriti molti altri, si abbandonarono a precipitosa fuga, riparandosi alle barche. Più che al proprio valore, i cittadini attribuirono la loro vittoria all’aiuto possente della Vergine SS. Immacolata e dei titolari della Terra, S.Giovanni Battista e Santo Stefano. Balio di Santo Stefano era in quell’anno Fra Giovanni Battista Brancaccio, prima Generale delle artiglierie del Regno; dipoi, allora, Generale supremo dell’intero esercito. Suo luogotenente qui, nel Baliaggio, il Commendatore Fra Silvio Zurlo di Crema, cavaliere valoroso e vigilante, che prevedendo l’aggressione, addestrò i cittadini alle armi, e li diresse. Affinchè il fatto glorioso si trasmettesse alla posterità, nel dicembre di quell’istesso anno, ne fu apposta la lapide”.

A questa sembrerebbe essere stato sovrapposto ‐ o era intenzione dello scrittore ‐ un dipinto, in cui fosse rappresentato uno forse degli episodi più importanti dell’avvenimento.
Senza tale supposizione, non si potrebbe spiegare l’invito nella epigrafe al viandante di fermarsi a guardare; se pure non fosse anche questa una della solite figure retoriche.
In conferma e chiarimento dei particolari descritti, una lettera del Brancaccio e le tradizioni locali ci forniscono dati più precisi.
Ispiratore e parte principale della masnada turca, venuta al saccheggio di Fasano, sarebbe stato, secondo la tradizione, un rinnegato di Monopoli, un tal Pagliara (in dialetto: uscapagghiaro, bruciapagliaro). O che egli avesse smarrita la strada per Fasano, o per altro, i Turchi, visti i lunghi giri e rigiri nel tragitto, credettero d’essere stati da lui traditi, e nella fuga lo squartarono, giunti appena nella tenuta Vignamarina. I Fiumi, tre minuscoli corsi d’acqua sorgiva lunghi qualche centinaio di metri, nella cui prossimità approdarono le cinque barcacce, furono quelli di Canne, e la cala di Canne molto probabilmente, la quale meglio all’uopo si apprestava, fu il posto di approdo. V’ha ancora di più nell’esame dell’epigrafe, e non poco. Circa il principio della descrizione del fatto, l’aggressione è detta inattesa ‐ inaspectato aggressu ‐ e poi verso la fine, che il Commendatore Zurla l’avesse prevista, e avesse addestrato i cittadini all’uso delle armi: ‐ belligerum eventum praevidendo ‐ V’è di vero, che realmente il Zurla aveva avuto sentore della spedizione che si preparava in S.Maura e Lepanto, onde egli alacremente si era adoperato a preparare la difesa; ed il Priore Curato, don Sante Mignozza, in vista del pericolo, aveva già fatto fortificare la Chiesa.

“Narrano, riporta il nostro Giacomo Bianco in un suo manoscritto (1843) che, come il Gran Maestro dell’Ordine fu istrutto che nelle Isole Ionie si attendeva a dei preparativi per fare uno sbarco improvviso nella nostra costa, e depredarla, ne dia subito avviso al suo luogotenente Silvio Zurla da Crema residente in Fasano, il quale prese degli opportuni provvedimenti; tra gli altri, armò sotto una certa disciplina buona mano di cittadini, stabilì nuovi posti di guardia, dei quali uno, sull’astrico (tetto) del nostro S. Nicola, e l’ultimo nell’abitazione rurale, oggi detto Vignamarina, onde, corrispondendosi l’un l’altro, avessero potuto chiamare al soccorso, in caso di pericolo. Durarono nella loro vigilanza per ben tre mesi, sicchè cominciarono ad abbandonarsi ad una certa sicurtà. Il 2 giugno di quell’anno, quasi tutta questa mano di armati convertitasi in una partita di cacciatori, si menò lontano dalla città: la notte seguente i pirati barbareschi assalirono la città”.

L’aggressione avvenne dopo qualche mese, quando niuno più vi pensava, e perciò fu detta inattesa. La vallata ove avvenne lo scontro d’armi, fu il piano, che noi soliam chiamare Largo delle Fogge, dove era il cosìddetto Orto Abate Lonardo, e che i nostri padri chiamarono Orto della Patria, appunto dopo il 1678, in memoria d’essere stata ivi salvata la patria dai turchi, i cui morti si dice fossero lì sepolti. Nell’epigrafe è registrato, che nello scontro ventuno dei Turchi caddero uccisi ed altri feriti; ma non è detto se anche da parte dei Fasanesi vi fossero stati morti e feriti. Ve ne furono, e la tradizione novera sette morti. Di questi uno soltanto viene ricordato, certo Ascanio Leone, guardia perticaria, che però figura seppellito non il 3 giugno, ma il 3 luglio 1678; degli altri non si trova memoria.
A ricordo del famoso assalto non resta che il telone del teatro sociale che rappresenta il vittorioso ritorno della spedizione; il Cavaliere di Malta, signori e popolani, trofei, prigionieri turchi legati, e un popolo festante in piazza, avanti alla antica Loggia ‐ la quale però è un anacronismo, essendo stata costruita in seguito (1688‐96) sotto il Balì Cavaretta ‐. Ma fino ai primi decenni del secolo scorso, si conservava tuttavia grande nel popolo il terrore dei Turchi ‐ col qual nome s’indicavano in genere tutti gli abitanti della sponda opposta, di qualsiasi nazionalità ‐, come apprendiamo dai nostri vecchi, che ancora ci narrano qualche ultimo episodio di ratto.

Recent Posts

Start typing and press Enter to search

pellegrinaggio